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Demetra alleva Demofonte

Demetra arriva a Eleusi e, nelle false sembianze di una vecchia, viene accolta nel palazzo dei sovrani Celeo e Metanira. Qui la donna è incaricata di allevare Demofonte, figlio ultimogenito della coppia, finché questi non abbia raggiunto la piena giovinezza. Per sdebitarsi della benevola accoglienza, la dea riserva cure speciali al piccolo: non somministra alcun cibo né latte materno; di giorno, unge con ambrosia il suo corpo e vi soffia sopra, mentre durante la notte lo immerge completamente nel fuoco. Grazie a queste operazioni il bambino cresce simile nell’aspetto agli dèi, e se la pratica fosse proseguita sarebbe diventato immune dalla vecchiaia e immortale. Una notte, però, Metanira decide di spiare l’operato della nutrice. Impaurita alla vista del figlio immerso nel fuoco, con un grido interrompe il rituale, che risulta in tale modo vanificato: Demofonte non potrà più sfuggire al destino di morte1. Secondo una diversa versione, il bambino non sopravvive: Demetra, udendo l’urlo di Metanira, lo lascia cadere nel fuoco e Demofonte muore bruciato dalle fiamme2, oppure la dea, in preda alla collera, uccide volontariamente il piccolo di propria mano3.

Fonti
  1. Hymn. hom. in Cer. 219 ss.
  2. Apollodoro, Bibl. 1, 5, 1; P. Berol. 44, 100 ss.
  3. II Mitografo Vaticano, 96 ss.

Commento

Il tentativo di conferire l’immortalità presenta caratteristiche peculiari. Il soggetto che vi è sottoposto è un bambino non comune: l’unico maschio di Celeo e Metanira, nato tardi e dopo ripetute preghiere della madre. In secondo luogo, artefice dell’esperimento è la dea in persona, personaggio più che mai titolato a garantire la felice riuscita dell’operazione. Il rituale praticato da Demetra è scandito da una serie di azioni dotate di forte valore simbolico. Da una parte, la dea esclude il latte materno e le altre forme di nutrimento di norma somministrate agli esseri umani, dall’altra favorisce il contatto con elementi divini quali l’ambrosia, il soffio e il suo proprio latte. L’alimentazione assume dunque ruolo di primo piano nel definire l’identità mortale o immortale del bambino.

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