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Enea e il mantello di Didone

Dalla loro prima unione nella spelonca, Enea e Didone non si sono più separati e la regina, presa dall’amore, si dimentica del regno e dei suoi doveri. I due amanti passano l’inverno nelle mollezze, rapiti da una vergognosa passione, finché la fama di quell’unione giunge alle orecchie di Iarba, il pretendente respinto, che sdegnato invoca l’intervento degli dèi. Lo sente Giove e ordina a Mercurio di richiamare Enea al suo destino: reggere l’Italia dopo un’aspra guerra, fondare dal nobile sangue di Teucro una nuova stirpe e sottomettere il mondo intero alle sue leggi. Mercurio scende rapido sulla terra e scorge Enea col mantello di porpora che Didone ha tessuto per lui, intento a fabbricare case per la sua regina, e lo investe con una dura invettiva, trasmettendogli l’ordine di salpare che viene direttamente da Giove. Scosso da quell’apparizione, Enea torna in sé e si decide a partire1.

Fonti
  1. Virgilio, Aen. 1, 507-508; 4, 169-280; 569-570

Commento

Il racconto mette in luce uno scambio di ruoli avvertito come profondamente perturbante. Da un lato c’è Didone, una donna che svolge attività e funzioni tipicamente maschili come quelle di fondare una città, dettare le leggi ed esercitare un ruolo di comando sugli uomini. Dall’altro lato c’è Enea, dimentico della missione a lui affidata dagli dèi e capace di trascinare nella effeminatezza della sua nuova dimensione gli stessi compagni, descritti da Iarba come mezzi uomini. Lui stesso ha assunto un aspetto che denuncia il rischio di svirilizzazione: i suoi capelli sono madidi di unguenti, indossa la mitra, una sorta di turbante che i Romani consideravano proprio delle donne; ma ciò che Mercurio soprattutto gli rimprovera è la sua eccessiva accondiscendenza verso una donna.

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