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Metamorfosi di Lica in pietra

Lica, spaventato (trepidum), si nasconde nella cavità di una rupe, sussulta (tremit) ed è bianco dallo spavento (pallidus pavet) quando l’eroe lo prende, scagliandolo lontano, con una forza pari a quella di una macchina da lancio. L’uomo sfreccia nell’aria, in direzione del mare, è esangue dalla paura (exsanguem metu), gli umori del corpo prosciugati. E allora, come le gocce di pioggia si rapprendono in fiocchi di neve e questi a loro volta in grandine, così Lica si irrigidisce, fino a diventare di pietra. Di lui non resta che uno scoglio sporgente sul mar d’Eubea e i naviganti temono di calpestarlo, perché scorgono in esso le tracce di una forma umana (humanae vestigia formae) e per l’idea che quella pietra, chiamata Lica, sia capace di provare delle sensazioni.1.

Fonti
  1. Met. 9, 211-229

Commento

La dettagliata descrizione della paura di Lica è funzionale a rimarcare la progressiva perdita di umanità del personaggio, il quale sarà alla fine così irrigidito e disseccato da mutarsi in un blocco di pietra. Secondo una caratteristica propria del processo di metamorfosi ovidiano, l’esito finale comporta, tuttavia, un elemento di continuità rispetto alla forma di partenza. L’umanità di Lica, in effetti, sopravvive nella misura in cui si dice che lo scoglio ha un profilo umano e sembra capace di provare delle sensazioni.

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