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Miti

Nascita degli Sparti

Alla vana ricerca della sorella Europa, Cadmo riceve da Apollo l’ordine di prendere come guida una vacca e fondare una città là dove questa si fosse fermata. Viene così fondata la Cadmea. Volendo sacrificare la vacca ad Atena, l’eroe invia alcuni suoi compagni ad attingere acqua alla fonte di Ares, ma la maggior parte di costoro è sterminata da un serpente posto a custodia del luogo. Cadmo, adirato, uccide a sua volta l’animale e su consiglio di Atena o di Ares semina i denti serpentini. Da questi spuntano dalla terra degli uomini armati, gli Sparti, che iniziano a combattere tra loro e si uccidono a vicenda. Allo scontro sopravvivono cinque Sparti, dai quali discendono le principali famiglie dell’aristocrazia tebana1.

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Suicidio di Aiace

Nella guerra di Troia Aiace Telamonio ha dato prova di sommo valore guerriero. Morto Achille, si deve decidere a chi toccherà l’onore di ricevere in consegna le sue armi e, alla fine, la scelta cade su Odisseo. Aiace, sconvolto dal dolore, medita vendetta: uscito di senno per opera di Atena, durante la notte impugna la spada e stermina il bestiame dei Greci, credendo di far strage di Achei. Resosi conto dell’accaduto, il Telamonio comprende che l’onore è irrimediabilmente perduto e che egli sarà ben presto giustiziato; così, nell’isolamento della spiaggia l’eroe conficca la spada nella sabbia, con la punta rivolta verso l’alto, e si getta sopra l’arma. Tecmessa, la concubina di Aiace, ne avvolge il cadavere con un mantello, poiché nessuno potrebbe sostenere la vista di colui che dalle narici e dalla rossa ferita esala nero sangue. Agamennone e Menelao sono decisi a negare la sepoltura di Aiace, colpevole di aver meditato la morte degli Achei; si oppongono Teucro, fratello dell’eroe, e anche Odisseo, pronto a riconoscere i meriti del morto. Prevale il partito della sepoltura. L’Itacese vorrebbe prendere parte al rito funebre: Teucro rifiuta e, aiutato dal piccolo Eurisace, figlio di Aiace, solleva il cadavere dalla spada1. Agamennone vieta però che il corpo di Aiace sia cremato e prescrive di deporlo in una bara2.

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Asclepio e la resurrezione dei morti

Asclepio, figlio di Apollo e della mortale Coronide, apprende dal Centauro Chirone l’arte medica e la tecnica chirurgica. In breve tempo diventa guaritore espertissimo, proteggendo i mortali da tutte le specie di morbi. Ma anche il sapere è servo del guadagno: un giorno, corrotto dalla brama di ricchezza, in cambio di un cospicuo compenso il figlio di Apollo resuscita un morto. Interviene allora Zeus, per folgorare Asclepio e insieme a lui l’uomo appena ritornato alla vita1. In un’altra versione del mito2, Asclepio riceve da Atena il sangue sgorgato dalle vene della Gorgone: quello delle vene di sinistra è utilizzato per far morire gli uomini, quello delle vene di destra per guarirli e per risvegliare i defunti. Inoltre, Zeus interviene perché teme che i mortali imparino da Asclepio l’arte di curarsi e quindi si soccorrano tra di loro3. In Diodoro Siculo, Zeus agisce su istigazione di Ade, il quale si lamenta perché il suo potere è sminuito da quando le cure di Asclepio hanno ridotto drasticamente il numero dei morti4. Infine, secondo Zenobio, Zeus uccide Asclepio affinché costui non sembri agli uomini un dio5.

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Il sacrificio, tra verginità e matrimonio

Al momento fatale in cui il coltello sta per colpire il collo di Ifigenia immolata sull’altare in Aulide, Artemide sostituisce la fanciulla con una cerva, la trasferisce nel selvaggio paese dei Tauri, ne fa la sua sacerdotessa addetta al sacrificio degli stranieri che si accostano a questa terra. Ma da qui Ifigenia riesce a fuggire col fratello Oreste e a lei, ormai in salvo, Atena predice la fondazione del rituale di Brauron in onore della dea Artemide, dove otterrà un heroon con speciali tributi1. In un altro mito eziologico del rituale brauronio, un’orsa, introdottasi nel santuario di Artemide, viene uccisa; ne consegue una pestilenza e, per riparazione, le fanciulle, prima di sposarsi, devono "fare l’orsa"2. Analogamente, nel mito cultuale di Munichia viene uccisa un’orsa nel santuario di Artemide, cosa che provoca una pestilenza; un oracolo ordina di sacrificare una vergine alla dea, e un tal Embaro offre la propria figlia in cambio del sacerdozio perpetuo per la sua famiglia, ma invece nasconde la fanciulla e al suo posto sacrifica una capra camuffata con i suoi abiti; da questo sacrificio, accolto nonostante il carattere ingannevole, deriva un rituale del tipo della arkteia a Brauron (Suda, s.v. Embaros eimi).

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Stupro di Cassandra

Cassandra, la vergine figlia di Ecuba e Priamo, è amata da Apollo che le fa dono della virtù profetica in cambio della rinuncia alla sua verginità, accettando di unirsi a lui. Ma dopo avere ricevuto il dono della profezia, rifiuta di concedersi al dio che, irato, la punisce togliendole la capacità di persuadere gli altri della veridicità delle sue previsioni sul futuro. Un altro episodio di violenza aggressiva contrassegna la vicenda di Cassandra, in quanto Aiace Oileo, con un atto sacrilego, viola la sua verginità quando, durante il sacco di Troia, si era rifugiata presso il tempio di Atena, aggrappata alla statua della dea. Ma Aiace la strappa via facendo vacillare il simulacro divino, provocando così la collera di Atena1.

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Era e gli strumenti di seduzione

Era, giunta nel talamo, deterge il suo corpo con ambrosia, si unge con unguento profumato. Quindi si acconcia le belle trecce, indossa una veste lavorata da Atena, la ferma con fibbie d’oro, poi mette una cintura con cento frange, ai lobi orecchini a tre perle, sul capo un candido velo, ai piedi lega bei sandali e così ornata si reca da Afrodite, per chiederle quell’incanto d’amore con cui la dea vince tutti i mortali e gli immortali. Quindi Afrodite si scioglie la cintura ricamata, dove ci sono tutte le forze dell’incanto d’amore e del desiderio, e la dà da indossare ad Era che prontamente se ne cinge il petto e si presenta al cospetto del marito sulla cima dell’Ida. Vedendola così abbigliata, desiderio irresistibile coglie Zeus1.

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Elena e Clitemestra, fuori dalle regole del matrimonio

Figlie entrambe di Zeus e di Leda, spose ai due Atridi, Menelao e Agamennone, sono accomunate da un gamos abnorme, al di fuori delle regole sociali del matrimonio. La prima, Elena, è di tale straordinaria bellezza, che tutti i giovani più illustri di Grecia ambiscono alla sua mano. Il padre terreno Tindaro, forse su consiglio di Odisseo, li induce a stipulare un patto di mutuo soccorso, cioè che se lo sposo prescelto si fosse visto strappare con la forza la sposa, essi sarebbero andati in aiuto con una spedizione in armi e avrebbero distrutto la città del rapitore. È su Menelao che ricade la scelta di Elena, il quale accoglie nella sua reggia a Sparta il giovane principe Paride, allevato come mandriano sul monte Ida, dove era stato arbitro nella gara di bellezza tra le tre dee, Era, Atena ed Afrodite. Quest’ultima gli aveva promesso la donna più bella del mondo in cambio della vittoria. Bellissimo, con addosso splendide vesti d’oro, suscita l’amore di Elena di cui anch’egli si innamora immediatamente e, durante l’assenza di Menelao, se la porta con sé sui suoi stazzi sul monte Ida. Menelao come impazzito dalla gelosia, chiama a testimoni i giuramenti di Tindaro e si allestisce dunque una grande spedizione contro Troia dei contingenti greci con lo scopo di riprendersi Elena e vendicare il ratto e l’adulterio1.

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Aracne e Atena, la sfida di tessitura

Aracne è una bellissima fanciulla della Lidia, espertissima nella tessitura tanto che persino le ninfe vengono ad ammirare le sue tappezzerie. Tuttavia crede di dovere la sua arte soltanto alla sua personale abilità e non riconosce dunque il dono della dea. La quale, sotto le sembianze di una vecchia, le appare e le consiglia la modestia, ricevendone in risposta soltanto insulti. La dea si rivela allora ad Aracne con cui inizia una gara: Atena tesse una tappezzeria con gli dei olimpici in scene di superbia umana punita, Aracne invece scene di amori degli dei, come Zeus ed Europa. Il tessuto della fanciulla è talmente bello e perfetto che Atena adirata lo distrugge, mentre Aracne per l’umiliazione si impicca. La dea però la trasforma in ragno che continua a filare e tessere la sua tela1.

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Atena e i ruoli di genere

È la dea, figlia di Zeus e di Metis, ad insegnare al giovane ateniese Falange l’arte della guerra, mentre riserva alla sorella Aracne quella della tessitura. Atena li punisce per i loro rapporti incestuosi trasformandoli in serpenti1.

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Il cane Argo

Odisseo arriva finalmente alle porte della reggia di Itaca in incognito, accompagnato dal porcaro Eumeo che ancora non sa di essere insieme al suo re travestito. Mentre i due discutono su come sia meglio entrare, un cane sdraiato lì vicino drizza teste e orecchie. Si tratta di Argo, che tanti anni prima Odisseo aveva preso da cucciolo e allevato personalmente. Non aveva purtroppo avuto l’opportunità di goderselo, perché ben presto era dovuto partire per Troia. L’eroe, adesso, è irriconoscibile: non solo per i venti anni trascorsi ma per il travestimento e la metamorfosi che Atena aveva imposto ai suoi tratti, per farlo sembrare un vecchio mendicante. Eppure Argo, vecchio e senza più forze, buttato nel letame e pieno di zecche per l’incuria dei servi infedeli, capisce che quell’uomo è Odisseo: muove la coda e abbassa entrambe le orecchie, ma non ce la fa ad alzarsi per avvicinarsi a lui. L’eroe pure riconosce il suo cane, ma non può tradirsi, deve trattenere la commozione. Girando il viso per nascondere le lacrime, distrae Eumeo chiedendogli informazioni sulla bestiola. Il porcaro lo informa che quel cane era stato il cane di Odisseo e, anche in assenza del padrone, non aveva tuttavia tradito le aspettative: si era dimostrato un ottimo segugio e si era guadagnato da vivere percorrendo i boschi dell’isola senza risparmiare le energie, inseguendo capre selvatiche, cervi e lepri – nessuna preda sfuggiva al suo fiuto e alla sua corsa veloce. Non era certo uno di quei cani ornamentali, che passano il tempo oziosi presso le tavole dei padroni, ma un ottimo cacciatore, degno dell’eroe al quale apparteneva. Fa indignare perciò che le schiave alla reggia lo lascino languire in quel modo, nel letame e pieno di zecche. E mentre i due uomini, così discorrendo, si dirigono al salone dove stanno radunati i pretendenti, Argo esala l’ultimo suo respiro.

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Pegaso aiutante nelle imprese di Bellerofonte

Nato dalla testa mozzata della gorgone Medusa, che l’aveva concepito da Poseidone, Pegaso è un cavallo straordinariamente focoso e indomabile. Come molti destrieri mitici dotati di velocità eccezionale, è alato e dunque invincibile nella corsa, ma impossibile da sottomettere per un essere umano. Quando l’eroe corinzio Bellerofonte, secondo alcuni figlio di Poseidone lui stesso [Pindaro], lo cattura mentre si abbevera presso la sorgente Pirene, il cavallo rifiuta di farsi montare. Bellerofonte ha tuttavia la sorte di ottenere l’intervento della dea della tecnica, Atena. Apparsagli in sogno, gli dona un morso d’oro incantato, capace di domare magicamente qualunque cavallo e gli ordina di sacrificare un toro a Poseidone1. Bellerofonte esegue gli ordini divini aggiungendovi, su suggerimento dell’indovino Poliido, anche la dedica di un altare ad Atena Ippia (“dei cavalli”) – a Corinto la dea era anche invocata come Chalinitis (“delle briglie”). Con tanto favore divino, l’eroe finalmente può salire in groppa al destriero e partire per una serie di imprese leggendarie, imposte dal re di Licia: come le fonti non mancano di sottolineare2è grazie a Pegaso, infatti, che uccide la Chimera, mostro composito (leone, serpente e capra) spirante fiamme, sorprendendola con un attacco aereo reso possibile dalla elevazione della sua cavalcatura. Ancora grazie all’aiuto di Pegaso stermina poi le Amazzoni e vince i Solimi3. In seguito a queste vittorie Bellerofonte ottiene in sposa la figlia del re e metà del regno di Licia. Ma Bellerofonte non si accontenta e, ormai accecato dall’ambizione, ambisce a salire all’Olimpo per partecipare alle riunioni divine: Pegaso, a quel punto, lo disarciona. E mentre Bellerofonte vaga come un derelitto nella pianura Aleia (“Erratica”), il suo cavallo viene accolto dagli dèi olimpici: nutrito alla greppia di Zeus, Pegaso è incaricato di trasportarne le armi caratteristiche – il lampo e il tuono – per il tempo a venire.

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Perseo contro Medusa

Polidette, re di Serifo, si era innamorato di Danae, la madre di Perseo. Per potere sedurre la donna aveva bisogno di allontanarne il figlio o, ancora meglio, di eliminarlo: per questo gli impone di portargli la testa della Gorgone. Perseo, dopo essersi procurato dalle Ninfe i sandali alati, una speciale bisaccia (la kibisis) e l’elmo dell’invisibilità di Ade, giunse a volo sull’Oceano e trovò le tre Gorgoni (Steno, Euriale e Medusa; quest’ultima era l’unica mortale delle tre) immerse nel sonno. Le Gorgoni avevano teste avvolte da scaglie di serpenti, zanne grosse come quelle dei cinghiali, mani di bronzo e ali d’oro con cui potevano volare. Tramutavano in pietra coloro che le guardavano. Perseo, guidato e aiutato da Atena, si avvicinò alle Gorgoni addormentate e, tenendo la testa girata e lo sguardo rivolto a uno scudo di bronzo in cui vedeva riflessa l’immagine di Medusa e le tagliò la testa. Quando la testa della Gorgone fu troncata, dal suo corpo balzò fuori Pegaso, il cavallo alato, e Crisaore, padre di Gerione, che essa aveva concepito da Poseidone. Perseo mise la testa della Medusa nella kibisis e tornò indietro, sfuggendo all’inseguimento delle due Gorgoni superstiti grazie all’elmo che lo rendeva invisibile1.

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I figli di Crono

Crono si unisce a Rea ma ne ingoia i figli, per impedire che si compia quanto i suoi genitori gli avevano predetto, che cioè uno di essi lo avrebbe spodestato. Rea decide però di salvare l’ultimo nato, Zeus, partorendolo di nascosto in una caverna del monte Ida a Creta e offrendo a Crono da divorare una pietra avvolta in fasce. Zeus, allevato lontano dal padre, una volta adulto libera i fratelli costringendo Crono a rigettarli, quindi stabilisce il suo regno, destinato a permanere nel tempo e al quale sono sottoposti tanto gli dèi quanto gli uomini. Grazie a Zeus gli dèi olimpi sconfiggono i Titani e conquistano il potere, mentre Zeus riceve dagli stessi fratelli la regalità. La sua prima sposa è Metis, ma quando questa è sul punto di partorire Atena, Gaia e Urano consigliano a Zeus di inghiottirla. In questo modo Zeus integra il principio generatore femminile e dando alla luce egli stesso la figlia Atena rimuove la minaccia che i suoi discendenti possano contendergli il privilegio regale1.

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Riconoscimento tra Odisseo e Telemaco

Approdato a Itaca sotto le mentite spoglie di un mendicante, Odisseo si rifugia presso il fedele porcaro Eumeo, dove prepara la vendetta sui Proci. Ispirato da Atena, Telemaco si reca dallo stesso Eumeo, che lo accoglie nella sua capanna; Atena consiglia allora a Odisseo di rivelarsi al figlio, lo tocca con una bacchetta d’oro e ne trasforma le vesti, rendendolo più giovane e più bello. Telemaco lo vede e resta senza fiato, intimorito, sicuro che si tratti di un dio, ma Odisseo gli rivela di essere suo padre: i due si abbracciano, scoppiando in singhiozzi e piangendo di un pianto acuto, «più fitto che uccelli»1.

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Odisseo e Telemaco progettano la strage dei proci

Odisseo prepara con Telemaco la strage dei Proci, gli domanda quanti e quali siano per poterli assalire insieme, loro due soltanto, con l’aiuto di Atena. Nell’ordire il piano Odisseo pretende dal figlio assoluta segretezza e chiede a Telemaco di precederlo a palazzo, dove egli arriverà come mendicante e dove il figlio dovrà sopportare che il padre venga umiliato senza reagire. A un cenno del suo capo toglierà le armi dalla sala dei banchetti, lasciando solo quelle per loro due1. Con l’aiuto di Atena il piano concertato tra padre e figlio andrà a segno2.

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Atena spinge Telemaco a cercare il padre

Telemaco cresce in attesa del padre, fino a quando Atena si presenta a Itaca sotto le spoglie di Mente, un amico di Odisseo. Questi viene accolto come ospite da Telemaco e gli consiglia di partire alla ricerca del padre1. Telemaco rompe gli indugi e si mette in mare, recandosi prima a Pilo da Nestore, compagno d’armi di Odisseo a Troia, poi a Sparta da Menelao, dove ascolterà i racconti della guerra e dei diversi ritorni degli eroi e di come di suo padre si siano perse le tracce2.

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Atena nasce senza madre

Zeus si unisce a Metis, signora dell’intelligenza multiforme, ma quando la dea resta incinta Zeus la inghiotte, assumendo in questo modo il principio generativo femminile . Così, il padre degli dèi genera la figlia Atena direttamente dalla testa, già armata e amante di guerre e tumulti, perfettamente in grado di condurre eserciti1. Nata dalla testa di un padre che ingloba – e infine elide – il principio materno dalla generazione, nessuna figura mitica potrebbe rendere al pari di Atena la madre più superflua. La dea di sé può dichiarare esplicitamente: «Nessuna madre mi ha generata, io approvo tutto ciò che è del maschio, tranne le nozze, con tutta me stessa, sono interamente del padre»2.

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Nascita di Erittonio

Quando Atena si reca da Efesto per chiedergli delle armi, il dio viene preso dal desiderio di possedere la dea guerriera e la insegue. Ma Atena è più veloce ed Efesto non riesce a raggiungerla; il suo seme allora viene sparso sulla coscia della dea. Atena si pulisce con una pezza di lana dal seme di Efesto e lo getta nella terra. Da questo seme Gaia concepisce un essere, Erittonio, che Atena raccoglie e del quale fa una sorta di figlio adottivo1.

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Ettore e Andromaca

Tornato a Troia per chiedere alle donne di compiere un rito propiziatorio in onore di Atena, Ettore incontra un mondo di donne e di emozioni che gli si fa incontro: prima la madre Ecuba, che lo supplica di restare, poi la cognata Elena, che lo invita a sedere. Ma Ettore rifiuta, vuole andare dalla sua famiglia, la moglie Andromaca e il figlio Astianatte; oscuramente, sente che quella potrebbe essere l’ultima volta che potrà abbracciarli. Trovata la casa vuota, chiede alle ancelle dove sia la sposa: è sull’alta torre di Ilio, rispondono, a osservare, disperata, la battaglia. Ettore si slancia per cercarla e la trova sulla strada verso la torre, dove lei gli viene incontro, gli occhi inondati di pianto. Sfiorandogli la mano, Andromaca cerca di persuadere il suo sposo a restare, a non rendere lei vedova e il figlio orfano. Se lui fosse ucciso sarebbe per lei meglio morire: Achille le ha ucciso il padre e i fratelli, Artemide la madre; Ettore è ormai tutto ciò che le resta. L’eroe comprende le parole di Andromaca, ma al tempo stesso si sente costretto a combattere, spinto dal suo senso dell’onore. Presagendo la fine di Troia, Ettore esprime tutto il suo dolore al pensiero della sposa ridotta in schiavitù1.

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Riconoscimento tra Odisseo e Penelope

Quando la nutrice Euriclea annuncia che Odisseo è tornato, Penelope non le crede. Di fronte a Odisseo, lacero e sporco dopo la strage, stenta a riconoscerlo e rimane in silenzio, sospettosa. Odisseo si fa allora lavare, indossa vesti preziose e Atena gli versa sul capo bellezza e grazia. Trasformato dalla dea, torna simile a un dio al cospetto della moglie. Ma poiché lei permane in un ostinato silenzio, Odisseo le chiede di preparargli il letto per dormire da solo. Penelope lo mette alla prova, ordinando all’ancella di disporre il letto fuori dalla stanza, ma Odisseo non cade nel tranello: afferma che nessun uomo potrebbe spostare il loro letto. Egli stesso lo fabbricò, ai tempi del loro matrimonio, intagliandolo da un tronco d’olivo rigoglioso attorno a cui costruì la loro camera da letto. Solo allora Penelope lo riconosce, le si sciolgono le ginocchia e gli corre incontro per abbracciarlo e baciarlo: come la terra per il naufrago è lo sposo per la sposa. Atena trattiene sull’orizzonte il carro dell’Aurora e dona così agli sposi ricongiunti una notte lunghissima. Essi parlano a lungo, poi s’avviano al talamo nuziale, dove godono dell’amore e dei racconti, finché il sonno infine li vince uniti1.

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