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Tentativi di seduzione di Cefalo

Un mattino, l’Aurora vide Cefalo intento a prepararsi alla caccia e lo rapì, benché lui non volesse. Ma per quanto fosse meravigliosa, col suo viso roseo, Cefalo era perdutamente innamorato di sua moglie Procri. Nel suo cuore c’era solo lei, e di lei parlava continuamente. Tanto che la dea, un giorno, si stufò e indispettita lo rimandò da lei. Tornando a casa, Cefalo si chiese se la sua sposa si fosse mantenuta fedele durante la sua assenza. Aurora lo udì e lo mutò d’aspetto, perché potesse verificare. Giunto a casa, Cefalo rimase senza parole: nessuna mai avrebbe potuto essere più bella, anche se triste. Le mancava il suo Cefalo. Lui allora provò a sedurla, ma la castità di lei respinse tutti i tentativi, finché Cefalo non le promise, in cambio di una notte, un intero patrimonio e una miriade di doni, al punto che Procri iniziò a esitare. «Ah!», sbottò Cefalo, «Ero io il finto adultero! Ti ho colto in flagrante, traditrice!». E Procri, vinta dalla vergogna, fuggì. Suo marito si pentì subito: «Perdonami! Confesso che anch’io, se mi fossero stati offerti doni così grandi, avrei ceduto alla colpa». Così, dopo qualche tempo, Procri lo perdonò e tornò a casa e i due trascorsero, d’amore e d’accordo, molti anni meravigliosi1.

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Riconoscimento tra Odisseo e Telemaco

Approdato a Itaca sotto le mentite spoglie di un mendicante, Odisseo si rifugia presso il fedele porcaro Eumeo, dove prepara la vendetta sui Proci. Ispirato da Atena, Telemaco si reca dallo stesso Eumeo, che lo accoglie nella sua capanna; Atena consiglia allora a Odisseo di rivelarsi al figlio, lo tocca con una bacchetta d’oro e ne trasforma le vesti, rendendolo più giovane e più bello. Telemaco lo vede e resta senza fiato, intimorito, sicuro che si tratti di un dio, ma Odisseo gli rivela di essere suo padre: i due si abbracciano, scoppiando in singhiozzi e piangendo di un pianto acuto, «più fitto che uccelli»1.

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Odisseo e Telemaco progettano la strage dei proci

Odisseo prepara con Telemaco la strage dei Proci, gli domanda quanti e quali siano per poterli assalire insieme, loro due soltanto, con l’aiuto di Atena. Nell’ordire il piano Odisseo pretende dal figlio assoluta segretezza e chiede a Telemaco di precederlo a palazzo, dove egli arriverà come mendicante e dove il figlio dovrà sopportare che il padre venga umiliato senza reagire. A un cenno del suo capo toglierà le armi dalla sala dei banchetti, lasciando solo quelle per loro due1. Con l’aiuto di Atena il piano concertato tra padre e figlio andrà a segno2.

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Venere aiuta il figlio Enea

È in particolare l’Eneide virgiliana a concedere a Venere uno spazio di primo piano. Sin dall’inizio del poema è la dea, angosciata per la sorte di Enea, a lamentarsi con Giove per la tempesta che trattiene i Troiani lontani dall’Italia; quando essi fanno naufragio sulla costa africana, Venere si mostra al figlio sotto le vesti di una giovane cacciatrice e gli offre le informazioni essenziali per orientarsi in una situazione potenzialmente rischiosa. Di lì a poco ancora Venere avvolge Enea in una nube che gli consente di muoversi in piena sicurezza nella terra straniera, quindi, per proteggere il figlio dalla doppiezza dei Fenici e dall’ostilità di Giunone, cui Cartagine è consacrata, invia Cupido da Didone perché induca la regina a innamorarsi dell’ospite troiano. Nuovamente tormentata dall’angoscia, prega Nettuno di garantire a Enea, salpato dalla Sicilia, una navigazione propizia; e quando l’eroe avvia la ricerca del ramo d’oro che gli consentirà di accedere al regno dei morti, l’apparizione di due colombe, uccelli sacri a Venere, viene interpretata come un segno dell’incessante vigilanza materna. Assente nelle prime fasi dello sbarco in Italia, Venere torna in scena per chiedere al marito Vulcano di approntare nuove armi per Enea, quindi le consegna personalmente al figlio e gli concede quell’abbraccio cui si era sottratta sulla costa di Cartagine. La dea non si tiene lontana neppure dai campi di battaglia, intervenendo ripetutamente a protezione del figlio fino al duello finale con Turno. Virgilio non rinuncia infine a una vertiginosa apertura sul futuro: tra le scene effigiate sullo scudo di Enea, Venere compare nel quadro dedicato alla battaglia di Azio mentre sostiene Augusto nello scontro con le forze umane e divine dell’Oriente. Sollecita verso Enea, Venere non sarà meno attiva al fianco dei suoi discendenti, che si tratti del futuro principe o dei Romani nel loro complesso.

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Giuturno e Turno

Giuturna svolge il ruolo di adiuvante di Turno nel suo scontro con Enea: è lei a suggerire al fratello di affrontare il giovane Pallante, alleato dei Troiani, per ritardare il duello fatale con Enea1; ed è ancora lei a sobillare i Rutuli perché rompano il patto con i Troiani e ad assumere le vesti dell’auriga di Turno conducendo il fratello lontano dalle zone del campo di battaglia nelle quali infuria Enea. Quando a Giuturna è chiaro che Giunone ha ormai abbandonato Turno alla propria sorte, la ninfa lamenta la propria immortalità, che le impedisce di essere compagna di un fratello senza il quale la vita non può avere per lei alcuna dolcezza2.

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