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Pegaso aiutante nelle imprese di Bellerofonte

Nato dalla testa mozzata della gorgone Medusa, che l’aveva concepito da Poseidone, Pegaso è un cavallo straordinariamente focoso e indomabile. Come molti destrieri mitici dotati di velocità eccezionale, è alato e dunque invincibile nella corsa, ma impossibile da sottomettere per un essere umano. Quando l’eroe corinzio Bellerofonte, secondo alcuni figlio di Poseidone lui stesso [Pindaro], lo cattura mentre si abbevera presso la sorgente Pirene, il cavallo rifiuta di farsi montare. Bellerofonte ha tuttavia la sorte di ottenere l’intervento della dea della tecnica, Atena. Apparsagli in sogno, gli dona un morso d’oro incantato, capace di domare magicamente qualunque cavallo e gli ordina di sacrificare un toro a Poseidone1. Bellerofonte esegue gli ordini divini aggiungendovi, su suggerimento dell’indovino Poliido, anche la dedica di un altare ad Atena Ippia (“dei cavalli”) – a Corinto la dea era anche invocata come Chalinitis (“delle briglie”). Con tanto favore divino, l’eroe finalmente può salire in groppa al destriero e partire per una serie di imprese leggendarie, imposte dal re di Licia: come le fonti non mancano di sottolineare2è grazie a Pegaso, infatti, che uccide la Chimera, mostro composito (leone, serpente e capra) spirante fiamme, sorprendendola con un attacco aereo reso possibile dalla elevazione della sua cavalcatura. Ancora grazie all’aiuto di Pegaso stermina poi le Amazzoni e vince i Solimi3. In seguito a queste vittorie Bellerofonte ottiene in sposa la figlia del re e metà del regno di Licia. Ma Bellerofonte non si accontenta e, ormai accecato dall’ambizione, ambisce a salire all’Olimpo per partecipare alle riunioni divine: Pegaso, a quel punto, lo disarciona. E mentre Bellerofonte vaga come un derelitto nella pianura Aleia (“Erratica”), il suo cavallo viene accolto dagli dèi olimpici: nutrito alla greppia di Zeus, Pegaso è incaricato di trasportarne le armi caratteristiche – il lampo e il tuono – per il tempo a venire.

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Riconoscimento tra Odisseo e Telemaco

Approdato a Itaca sotto le mentite spoglie di un mendicante, Odisseo si rifugia presso il fedele porcaro Eumeo, dove prepara la vendetta sui Proci. Ispirato da Atena, Telemaco si reca dallo stesso Eumeo, che lo accoglie nella sua capanna; Atena consiglia allora a Odisseo di rivelarsi al figlio, lo tocca con una bacchetta d’oro e ne trasforma le vesti, rendendolo più giovane e più bello. Telemaco lo vede e resta senza fiato, intimorito, sicuro che si tratti di un dio, ma Odisseo gli rivela di essere suo padre: i due si abbracciano, scoppiando in singhiozzi e piangendo di un pianto acuto, «più fitto che uccelli»1.

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Odisseo e Telemaco progettano la strage dei proci

Odisseo prepara con Telemaco la strage dei Proci, gli domanda quanti e quali siano per poterli assalire insieme, loro due soltanto, con l’aiuto di Atena. Nell’ordire il piano Odisseo pretende dal figlio assoluta segretezza e chiede a Telemaco di precederlo a palazzo, dove egli arriverà come mendicante e dove il figlio dovrà sopportare che il padre venga umiliato senza reagire. A un cenno del suo capo toglierà le armi dalla sala dei banchetti, lasciando solo quelle per loro due1. Con l’aiuto di Atena il piano concertato tra padre e figlio andrà a segno2.

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Omicidio delle Danaidi e sorte di Ipermestra

Danao finge di cedere e assegna a ogni Egizio una figlia, non prima però di aver loro dato un pugnale per uccidere i cugini nella prima notte di nozze. Tutte le Danaidi compiranno l’assassinio dei neosposi, con l’eccezione della sola Ipermestra1. A lei il suo sposo piace, e molto. Mossa dal desiderio di unirsi a lui, decide di lasciarlo vivere. Il padre allora la sottopone a giudizio e la stessa dea Afrodite scende per difenderla, proclamando il primato del desiderio amoroso che la Terra ha posto come legge cosmica quando si è unita al Cielo ed è stata da lui fecondata in forma di pioggia, generando così animali e piante2. Ipermestra e lo sposo Lirceo (o Linceo) diverranno così capostipiti di una stirpe di eroi, quali Perseo ed Eracle.

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Castore e Polluce contro Ida e Linceo

Il destino dei Dioscuri si intreccia con quello di Ida e Linceo, figli di Afareo cugino di Tindaro. Venuti a contesa per il bestiame, i Dioscuri riescono a rapire la mandria dei cugini e fuggono. Linceo però, dotato di vista acutissima, scorge Castore acquattato nel cavo di un albero di quercia; ne rivela quindi la posizione a Ida, che lo trafigge mortalmente con una lancia. Polideuce si slancia a inseguirli fino a Terapne, dove i due si erano rifugiati presso la tomba di Afareo. Lì Polideuce uccide Linceo e, quando Ida cerca di colpirlo con la pesante pietra tombale del padre, è lo stesso Zeus a difendere il figlio e a incenerire Ida con la folgore. Polideuce torna di corsa da Castore, ma lo trova in fin di vita; scongiura allora il padre Zeus di farlo morire con il fratello gemello, poiché se non può essere vissuta insieme a Castore la vita gli appare solo come sofferenza. Zeus allora lo pone davanti a una scelta: o vivere senza Castore da immortale nell’Olimpo o condividere lo stesso destino del gemello, un giorno in cielo e un giorno negli inferi. Polideuce senza esitazione sceglie il destino di condivisione con il fratello. Da allora i Dioscuri trascorrono un giorno presso Zeus, nell’Olimpo, e un giorno nell’oscurità, sotto terra1. Si narra ancora che dopo morti i due divennero stelle luminose, la costellazione dei Gemelli2. Dal cielo essi vengono in soccorso ai naviganti che, colpiti da una tempesta, li invocano promettendo loro un sacrificio di bianchi agnelli3.

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