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Miti

Titono e la vita eterna

Titono appartiene alla casa regnante a Troia. Un giorno Aurora, che lo vuole suo sposo, lo rapisce dalla terra, poi va a chiedere a Zeus che egli sia immortale e viva per sempre. Il Cronide approva, ma l’incauta dea ha dimenticato di domandare per l’amato l’eterna giovinezza. Così, finché è nel pieno vigore delle forze, Titono trascorre i giorni in sereno connubio con la dea, presso le correnti di Oceano, ai confini del mondo. Ma quando le prime ciocche bianche spuntano sulla testa e sul mento del compagno, Aurora si tiene lontano dal letto; tuttavia, continua a tenere l'eroe nelle sue stanze, lo nutre con cibo mortale e ambrosia, gli dona belle vesti. Col tempo, però, la vecchiaia giunge al culmine, l’uomo non riesce nemmeno a muovere le esili membra. Allora Aurora lo rinchiude nel talamo, serrando le porte: Titono non uscirà mai più da questa prigione, da cui si ode solo il flebile suono della voce1. Secondo un'altra versione, Titono viene trasformato in cicala per iniziativa di Aurora2ovvero è lui stesso a richiedere la metamorfosi3; o ancora, prima di diventare cicala, dorme per un certo periodo in una culla come un bambino piccolo4.

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Suicidio di Aiace

Nella guerra di Troia Aiace Telamonio ha dato prova di sommo valore guerriero. Morto Achille, si deve decidere a chi toccherà l’onore di ricevere in consegna le sue armi e, alla fine, la scelta cade su Odisseo. Aiace, sconvolto dal dolore, medita vendetta: uscito di senno per opera di Atena, durante la notte impugna la spada e stermina il bestiame dei Greci, credendo di far strage di Achei. Resosi conto dell’accaduto, il Telamonio comprende che l’onore è irrimediabilmente perduto e che egli sarà ben presto giustiziato; così, nell’isolamento della spiaggia l’eroe conficca la spada nella sabbia, con la punta rivolta verso l’alto, e si getta sopra l’arma. Tecmessa, la concubina di Aiace, ne avvolge il cadavere con un mantello, poiché nessuno potrebbe sostenere la vista di colui che dalle narici e dalla rossa ferita esala nero sangue. Agamennone e Menelao sono decisi a negare la sepoltura di Aiace, colpevole di aver meditato la morte degli Achei; si oppongono Teucro, fratello dell’eroe, e anche Odisseo, pronto a riconoscere i meriti del morto. Prevale il partito della sepoltura. L’Itacese vorrebbe prendere parte al rito funebre: Teucro rifiuta e, aiutato dal piccolo Eurisace, figlio di Aiace, solleva il cadavere dalla spada1. Agamennone vieta però che il corpo di Aiace sia cremato e prescrive di deporlo in una bara2.

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Mutilazione Agamennone

Quando Agamennone torna da Troia, sua moglie Clitennestra, che è diventata l’amante di Egisto, lo accoglie a casa, ma già medita in cuore un piano funesto: mentre l’ignaro consorte è privo di difese, la donna lo colpisce mortalmente e lo disonora come un nemico, sottoponendolo all’orrida pratica del "mascalismo"1.

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Enea salva Anchise

Dopo la presa di Troia, Enea rimane a combattere in città, occupando la rocca e organizzando l’ultima resistenza contro gli invasori. Gli Achei, colpiti da tanto coraggio, propongono una tregua ai Troiani, concedendo loro di portar via i propri beni. Mentre tutti sono intenti a mettere in salvo oro, argento e altri oggetti preziosi, Enea si carica sulle spalle l’anziano padre: è questo l’unico bene che il giovane sceglie di salvaguardare. L’eroe si guadagna così l’ammirazione degli Achei, che gli concedono di portar via qualche altro bene dalla sua casa. Ed ecco che il giovane sorprende nuovamente tutti scegliendo gli dèi protettori della patria. Per tale merito gli viene concesso di lasciare la Troade con i superstiti per dirigersi dovunque voglia1.

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Cassandra alla reggia di Argo

Argo. Reggia degli Atridi. Clitennestra accoglie Agamennone al ritorno da Troia. Disperata per l’uccisione della figlia Ifigenia, la regina ha segretamente preparato l’omicidio del marito e della sua concubina Cassandra, figlia di Priamo e sacerdotessa di Apollo, che Agamennone ha portato come bottino da Troia. Clitennestra dissimula i suoi propositi e dispone per l’eroe un’accoglienza fastosa. Agamennone prega la moglie di voler accogliere Cassandra in casa, perciò Clitennestra le si rivolge invitandola a scendere dal carro e a sopportare la sua condizione di schiavitù. Ma Cassandra resta ferma sul carro, in silenzio. Clitennestra e con lei il coro degli anziani di Argo credono che la donna non reagisca perché non capisce il greco: la regina allora rientra in casa, irritata dall’atteggiamento apparentemente superbo della profetessa; il coro invece esprime pietà per la prigioniera. A un certo punto Cassandra si alza e si muove verso la reggia, intonando un lungo grido inarticolato e invocando Apollo. Con parole oscure e nel mezzo dello stupore generale profetizza tutto quanto sta per succedere, ovvero la sua morte e quella di Agamennone per mano di Clitennestra, ma anche le successive disgrazie che colpiranno la discendenza degli Atridi1.

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Sacrificio di Ifigenia e Polissena

Nel mito troiano si iscrivono le vicende di Ifigenia e Polissena, il cui sacrificio si colloca rispettivamente in apertura e chiusura della guerra. L’esercito dei Greci è radunato in Aulide. Ma la bonaccia impedisce alla flotta di salpare. L’indovino Calcante rivela che occorre sacrificare ad Artemide la primogenita di Agamennone, il re e capo della spedizione. Ifigenia giunge quindi in Aulide, con la falsa promessa di nozze con Achille, ma il suo matrimonio sarà in realtà con Ade, il dio degli inferi: i proteleia, i riti preliminari alle nozze, altro non sono che la sua messa a morte. Compresa la ineluttabilità del suo destino, Ifigenia si offre spontaneamente al coltello del sacrificatore, ed eroicamente si avvia verso l’altare prefigurando la gloria dalla quale sarà incoronata, per avere dato alla Grecia salvezza e vittoria1. Alla fine della guerra, quando Troia è ormai distrutta dalle fiamme, il vecchio re ucciso e uccisi tutti gli uomini, il fantasma di Achille, il più forte dei Greci, reclama sulla sua tomba il sangue della principessa Polissena, per consentire il ritorno in patria dell’armata greca. La fanciulla lamenta di essere anymphos e anymenaios, privata delle nozze e del canto nuziale, ma in più, come desolata afferma la madre Ecuba, Polissena, con la sua morte, non solo è privata delle nozze, ma anche della sua parthenia. Anch’ella, conosciuta la sua sorte, dichiara di volere morire da libera, senza che nessuno osi toccarla, ma andando volontariamente verso l’altare2.

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Stupro di Cassandra

Cassandra, la vergine figlia di Ecuba e Priamo, è amata da Apollo che le fa dono della virtù profetica in cambio della rinuncia alla sua verginità, accettando di unirsi a lui. Ma dopo avere ricevuto il dono della profezia, rifiuta di concedersi al dio che, irato, la punisce togliendole la capacità di persuadere gli altri della veridicità delle sue previsioni sul futuro. Un altro episodio di violenza aggressiva contrassegna la vicenda di Cassandra, in quanto Aiace Oileo, con un atto sacrilego, viola la sua verginità quando, durante il sacco di Troia, si era rifugiata presso il tempio di Atena, aggrappata alla statua della dea. Ma Aiace la strappa via facendo vacillare il simulacro divino, provocando così la collera di Atena1.

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Andromaca come sposa ideale

Come Penelope, anche Andromaca è sposa mitica esemplare. Dopo che Ettore muore sotto la lancia di Achille e Troia è ormai in fiamme, Andromaca, come le altre donne troiane, viene condotta schiava, e allora ricorda struggendosi la sua vita serena di sposa felice, quando viveva il suo ruolo nel modo migliore: restava a casa vicino al focolare, senza suscitare pettegolezzi; parlava con discrezione e mostrava sempre al marito un volto sereno, sapendo bene quando prevalere o lasciare invece lasciare vincere lui.1.

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Elena e Clitemestra, fuori dalle regole del matrimonio

Figlie entrambe di Zeus e di Leda, spose ai due Atridi, Menelao e Agamennone, sono accomunate da un gamos abnorme, al di fuori delle regole sociali del matrimonio. La prima, Elena, è di tale straordinaria bellezza, che tutti i giovani più illustri di Grecia ambiscono alla sua mano. Il padre terreno Tindaro, forse su consiglio di Odisseo, li induce a stipulare un patto di mutuo soccorso, cioè che se lo sposo prescelto si fosse visto strappare con la forza la sposa, essi sarebbero andati in aiuto con una spedizione in armi e avrebbero distrutto la città del rapitore. È su Menelao che ricade la scelta di Elena, il quale accoglie nella sua reggia a Sparta il giovane principe Paride, allevato come mandriano sul monte Ida, dove era stato arbitro nella gara di bellezza tra le tre dee, Era, Atena ed Afrodite. Quest’ultima gli aveva promesso la donna più bella del mondo in cambio della vittoria. Bellissimo, con addosso splendide vesti d’oro, suscita l’amore di Elena di cui anch’egli si innamora immediatamente e, durante l’assenza di Menelao, se la porta con sé sui suoi stazzi sul monte Ida. Menelao come impazzito dalla gelosia, chiama a testimoni i giuramenti di Tindaro e si allestisce dunque una grande spedizione contro Troia dei contingenti greci con lo scopo di riprendersi Elena e vendicare il ratto e l’adulterio1.

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L'eidolon di Elena

«Non è vero quel racconto, non sei salita sulle navi dai bei banchi, non sei andata alla rocca di Troia»1. Infatti soltanto un eidolon, un simulacro, si reca a Troia, mentre la vera Elena rimane in Egitto presso il re Proteo, finché Menelao torna a riprendersela2.

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Vendetta di Clitemestra su Agamennone

Clitennestra, sorella di Elena, sposa l’Atride Agamennone, duce della spedizione di Troia. Il primo marito e il figlio avuto da lui erano stati uccisi proprio da Agamennone, che ad Aulide aveva sacrificato la propria figlia Ifigenia per consentire la navigazione per Troia1. Negli anni di lontananza del marito, dopo avere dapprima fatto resistenza, si lascia sedurre da Egisto, figlio di Tieste fratello di Atreo. Una vicenda torbida segna la vita di Egisto, nato dal legame incestuoso di Tieste con la figlia Pelopia, perché si vendicasse di Atreo che aveva imbandito al fratello Tieste le carni dei suoi figli. A quest’uomo Clitennestra cede, consentendogli per di più di insediarsi nel palazzo di Micene e regnare con lei, finché, tornato Agamennone dalla guerra, gli tende una trappola di morte e lo uccide. Ma implacabile arriva la vendetta del figlio Oreste, che per ordine di Apollo uccide la madre. (Eschilo, Agam.; Cho.) .

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Achille a Sciro

Condotto a Sciro dalla madre Teti che non voleva che il figlio partecipasse alla spedizione contro Troia dove sapeva che avrebbe trovato la morte, Achille travestito con abiti femminili viene affidato al re Licomede. Sbarcato Odisseo sull’isola per cercarlo e associarlo alla spedizione, sospettando che il giovane si nascondesse in mezzo alle altre parthenoi, portò davanti alle fanciulle le armi insieme a dei cesti e altri strumenti per la tessitura. Le fanciulle si gettarono subito sui cesti, mentre Achille, attratto dallo scintillio delle armi, rivelò così la sua vera identità e la sua vocazione e partì quindi alla volta di Troia1.

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Il cane Argo

Odisseo arriva finalmente alle porte della reggia di Itaca in incognito, accompagnato dal porcaro Eumeo che ancora non sa di essere insieme al suo re travestito. Mentre i due discutono su come sia meglio entrare, un cane sdraiato lì vicino drizza teste e orecchie. Si tratta di Argo, che tanti anni prima Odisseo aveva preso da cucciolo e allevato personalmente. Non aveva purtroppo avuto l’opportunità di goderselo, perché ben presto era dovuto partire per Troia. L’eroe, adesso, è irriconoscibile: non solo per i venti anni trascorsi ma per il travestimento e la metamorfosi che Atena aveva imposto ai suoi tratti, per farlo sembrare un vecchio mendicante. Eppure Argo, vecchio e senza più forze, buttato nel letame e pieno di zecche per l’incuria dei servi infedeli, capisce che quell’uomo è Odisseo: muove la coda e abbassa entrambe le orecchie, ma non ce la fa ad alzarsi per avvicinarsi a lui. L’eroe pure riconosce il suo cane, ma non può tradirsi, deve trattenere la commozione. Girando il viso per nascondere le lacrime, distrae Eumeo chiedendogli informazioni sulla bestiola. Il porcaro lo informa che quel cane era stato il cane di Odisseo e, anche in assenza del padrone, non aveva tuttavia tradito le aspettative: si era dimostrato un ottimo segugio e si era guadagnato da vivere percorrendo i boschi dell’isola senza risparmiare le energie, inseguendo capre selvatiche, cervi e lepri – nessuna preda sfuggiva al suo fiuto e alla sua corsa veloce. Non era certo uno di quei cani ornamentali, che passano il tempo oziosi presso le tavole dei padroni, ma un ottimo cacciatore, degno dell’eroe al quale apparteneva. Fa indignare perciò che le schiave alla reggia lo lascino languire in quel modo, nel letame e pieno di zecche. E mentre i due uomini, così discorrendo, si dirigono al salone dove stanno radunati i pretendenti, Argo esala l’ultimo suo respiro.

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Atena spinge Telemaco a cercare il padre

Telemaco cresce in attesa del padre, fino a quando Atena si presenta a Itaca sotto le spoglie di Mente, un amico di Odisseo. Questi viene accolto come ospite da Telemaco e gli consiglia di partire alla ricerca del padre1. Telemaco rompe gli indugi e si mette in mare, recandosi prima a Pilo da Nestore, compagno d’armi di Odisseo a Troia, poi a Sparta da Menelao, dove ascolterà i racconti della guerra e dei diversi ritorni degli eroi e di come di suo padre si siano perse le tracce2.

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Oreste vendica il padre

Mentre il marito combatte a Troia, la regina Clitennestra invia il piccolo Oreste presso Strofio, parente del padre, che lo alleva insieme al figlio Pilade1. Anni dopo, Oreste apprende dell’assassinio di Agamennone tornato da Troia ad opera di Clitennestra e del suo amante Egisto. Sconvolto dalla rabbia e dal dolore, si reca a consultare l’oracolo di Apollo, da cui riceve l’ordine di vendicare il padre2; torna allora ad Argo insieme a Pilade, si ricongiunge con la sorella Elettra e infine si reca alla reggia, dove la madre regna con Egisto. Colti di sorpresa, cadono sotto i colpi vendicatori di Oreste prima Egisto e poi la stessa Clitennestra3.

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Ettore e Andromaca

Tornato a Troia per chiedere alle donne di compiere un rito propiziatorio in onore di Atena, Ettore incontra un mondo di donne e di emozioni che gli si fa incontro: prima la madre Ecuba, che lo supplica di restare, poi la cognata Elena, che lo invita a sedere. Ma Ettore rifiuta, vuole andare dalla sua famiglia, la moglie Andromaca e il figlio Astianatte; oscuramente, sente che quella potrebbe essere l’ultima volta che potrà abbracciarli. Trovata la casa vuota, chiede alle ancelle dove sia la sposa: è sull’alta torre di Ilio, rispondono, a osservare, disperata, la battaglia. Ettore si slancia per cercarla e la trova sulla strada verso la torre, dove lei gli viene incontro, gli occhi inondati di pianto. Sfiorandogli la mano, Andromaca cerca di persuadere il suo sposo a restare, a non rendere lei vedova e il figlio orfano. Se lui fosse ucciso sarebbe per lei meglio morire: Achille le ha ucciso il padre e i fratelli, Artemide la madre; Ettore è ormai tutto ciò che le resta. L’eroe comprende le parole di Andromaca, ma al tempo stesso si sente costretto a combattere, spinto dal suo senso dell’onore. Presagendo la fine di Troia, Ettore esprime tutto il suo dolore al pensiero della sposa ridotta in schiavitù1.

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Clitennestra vendica Ifigenia e uccide Agamennone

A capo della spedizione greca per Troia, il re Agamennone sacrifica la figlia Ifigenia per ingiunzione di Artemide, che ne richiede la vita per assicurare la partenza delle navi greche. Clitennestra giura di vendicare la figlia, si allea con Egisto e attende lunghi anni per portare a termine il suo piano. Quando infine il re torna in patria, Clitennestra lo accoglie con falso giubilo, lo accompagna in casa e lo conduce infine in un’imboscata: nella vasca da bagno Agamennone viene intrappolato in una rete da caccia e assassinato a colpi di ascia1.

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Enea salva Anchise e le divinità tutelari

Dopo la conquista di Troia, gli Achei vincitori concedono ai superstiti la possibilità di portare con sé un oggetto o un bene che abbiano a cuore; ma mentre tutti gli altri prendono oro e argento, il solo Enea carica sulle proprie spalle il padre Anchise. Ottenuto per questo il diritto a una seconda scelta, Enea mette in salvo le divinità tutelari di Troia; a quel punto gli Achei, ammirati, gli concedono di scegliere qualsiasi compagno e di portare con sé tutti i beni che voglia1.

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Anchise assume il comando del viaggio

Al momento della partenza da Troia Anchise ordina di issare le vele, invita a dirigere prima verso Creta, poi in direzione dell’Italia, invoca gli dèi e ne interpreta segnali e indicazioni. Virgilio ne parla ripetutamente come del «padre Anchise», attribuendogli un ruolo di comando e rispettando in questo modo le convenienze, come osservano i commentatori tardo-antichi dell’Eneide, poiché dal punto di vista dei Romani quella funzione direttiva non può che spettare alla figura paterna.

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